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Messaggio  Admin Dom Ott 05, 2008 11:22 am

scheda sugli autori

Fausto Panunzi
Posizione: Redattore lavoce.info
Ha conseguito il PhD presso il Massachusetts Institute of Technology. Attualmente insegna Economia Politica presso l'Università Bocconi. In precedenza ha insegnato presso l'Università di Bologna, l'Università di Pavia, Lecturer all´University College London, Research Fellow presso IDEI (Toulouse ) e IGIER. Le sue aree di interesse scientifico sono la Teoria dell'impresa, finanza d'impresa e Teoria dei contratti

Roberto Perotti
Posizione: Redattore lavoce.info
Roberto Perotti
Roberto Perotti ha conseguito il PhD in Economics al MIT nel 1991. Dopo 10 anni alla Columbia University di New York e due anni all'European University Institute di Firenze, attualmente e' all'IGIER-Universita' Bocconi. E’ co-direttore del Journal of the European Economic Association, e Research Fellow presso il Center for Economic Policy Research. E' stato consulente della Banca Mondiale, della Inter-American Development Bank, della Banca Centrale Europea, e della Banca d'Italia.


Pedagogisti e scienziati dell'educazione discutono da decenni vantaggi e svantaggi del maestro unico. Ed è vero, come dice Bossi, che "Se c'è un solo insegnante è più facile che si rovini il bambino". Ma sulla scuola bisogna comunque rifiutare l'immobilismo e intervenire per migliorarla. Tenendo conto del livello qualitativo attuale. Ecco in che modo.

Il provvedimento più rilevante tra quelli contenuti nel decreto legge che riforma la scuola primaria italiana è senza dubbio quello contenuto nell’articolo 4, in cui si prevede che “le istituzioni scolastiche costituiscono classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali”. In altre parole, si torna al maestro unico e si riduce di tre ore l’attività didattica rispetto alle attuali 27 ore settimanali.

La motivazione classica per il maestro unico è stata bene riassunta dal ministro: “Un insegnante unico, o comunque prevalente, avrà maggiore attenzione per il bambino che apprende, saprà modulare e indirizzare la sua azione didattica tenendo conto delle diverse attitudini, interessi e capacità individuali.” Pedagogisti e scienziati dell’educazione discutono da decenni sui pro e contro del maestro unico per il processo di apprendimento, ed il dibattito non finirà mai. Ma c’è un aspetto chiaro del problema che il ministro ed il dibattito politico hanno largamente ignorato, e che è stato colto efficacemente dal Ministro Bossi: “Se c'è un solo insegnante è più facile che si rovini il bambino, se ci sono più insegnanti almeno qualcuno è buono". Mettere tutte le uova in un solo paniere presenta un rischio grave: un maestro inefficace didatticamente o incapace di motivare rischia di pregiudicare seriamente le basi di apprendimento dei suoi alunni per 5 anni, e tutta la loro vita scolastica futura. Può darsi che il maestro unico abbia le sue ragioni, ma sarebbe importante sapere se esse compensano questa obiezione a nostro avviso fondamentale, tanto più in un sistema come quello italiano dove non è possibile disfarsi dei maestri scadenti.
L’altra ovvia obiezione al maestro unico è la crescente domanda di classi a tempo pieno che proviene dalle famiglie italiane. Su questo il Ministro Gelmini ha rassicurato mamme e papà. Basandosi su una simulazione di Tuttoscuola, il ministro ha affermato che il tempo pieno potrà essere incrementato del 50%, passando dalle attuali 34 mila fino a 50 mila classi. Secondo la simulazione di Tuttoscuola ciò implica una perdita di circa 18 mila unità di personale. Al tempo stesso, però, i media hanno largamente riportato la notizia che i provvedimenti del ministro porterebbero nel complesso a un esubero di 83000 unità. Su quest’ultimo numero si è fatta molta confusione: non è chiaro da dove esso provenga, e se sia stato fatto proprio dal governo (certamente esso non è stato smentito, e i nostri tentativi di ottenere numeri e calcoli dal ministero non hanno sortito effetto) Prendendo per buono dunque il target di 83000 esuberi, ed anche aggiungendo i relativi maestri di inglese, religione e educazione fisica, il salto da 18 a 83 mila è impossibile da ottenere. Il ministro vorrebbe dunque risparmiare, ottenere (forse) 83000 esuberi, ed aumentare le classi a tempo pieno: per essere credibile, sarebbe opportuno che rendesse pubblici i calcoli dietro a dei numeri così apparentemente difficili da conciliare.
Se ci sono parecchi motivi per criticare la riforma Gelmini, questo tuttavia non può essere un alibi per l’immobilismo o per un’acritica difesa dello status quo. Ad esempio, Veltroni ha dichiarato che [non si capisce perché si dovrebbe] "toccare l'unica parte del sistema formativo italiano che funziona, ossia la scuola elementare”. Alberto Campoloni sul sito del Servizio di Informazione Religiosa della CEI ha affermato “[…] in un contesto di molteplicità di saperi, la pluralità di maestre e il lavoro d'equipe possono garantire maggiore apprendimento per i bambini. La scuola italiana ha puntato in questa direzione, e proprio al livello elementare ha raccolto consensi e ottimi risultati. Ma allora perché cambiare?").

Queste e altre innumerevoli affermazioni di tenore simile sembrano sottintendere affermazioni diverse, che è bene analizzare individualmente.

1) La scuola elementare italiana ha una performance migliore, rispetto alla media internazionale, delle scuole superiori.

La risposta è probabilmente sì, se non altro perché sappiamo dai dati PISA che la scuola superiore italiana ha una performance disastrosa.

2) La scuola elementare italiana è migliore di quella della maggior parte dei paesi industrializzati.

L’unico modo per rispondere rigorosamente a questa domanda è usare le valutazioni scientifiche internazionali. Tali valutazioni esistono, oltre che per la scuola superiore, anche per la scuola elementare. Nel 2001 l’indagine PIRLS ha esaminato la capacità di lettura degli studenti di quarta elementare in 35 paesi, inclusi nel 2003 l’indagine TIMMS ha fatto lo stesso per matematica e scienze (su un campione leggermente inferiore di paesi). Gli studenti elementari italiani si collocano sopra la media per capacità di lettura; ma agli ultimi posti fra i paesi industrializzati, in capacità di applicare e di ragionare in matematica.

3) La spesa pubblica italiana sulla scuola elementare è già abbastanza efficiente, non è necessario toccarla.

Come abbiamo visto, la scuola elementare italiana ha una buona performance (certamente migliore di quella PISA) per quanto riguarda la lettura. Anche ignorando i risultati deludenti in matematica, possiamo quindi dire che la spesa pubblica italiana per la scuola elementare è abbastanza efficiente? Non necessariamente: sappiamo che l’Italia spende molto di più per studente elementare di molti altri paesi industrializzati. Quindi tenendo conto della spesa, è difficile arrivare ad una conclusione, anche perché non abbiamo indicatori univoci dell’efficienza della spesa pubblica.
In conclusione, le poche valutazioni rigorose internazionali non supportano l’idea che la scuola elementare italiana sia migliore di quella di molti altri paesi industrializzati. L’idea che essa sia migliorabile semplicemente con l’introduzione del maestro unico non è ovvia come il ministro vorrebbe far credere.
Il problema di fondo di queste posizioni è che esse sono il frutto di approcci estremamente ideologizzati, il cui apice fu toccato con la riforma Moratti, la quale attribuiva, almeno in teoria, un ruolo di rilievo ad informatica e impresa nella didattica delle elementari. Inevitabilmente, l’approccio estremamente ideologico porta a sottovalutare l’unico strumento che può veramente cambiare la nostra scuola: una valutazione seria. E qui non si può ignorare il fatto che sindacati e governi di tutti i colori hanno sempre ostacolato l’INVALSI, l’agenzia creata per raccogliere dati sui risultati delle varie scuole italiane da utilizzare per valutare il sistema scolastico. I discorsi sul premiare il merito – che tutti appoggiano a parole – rimarranno sempre chiacchiere fino a quando non si partirà da una seria valutazione delle scuole

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