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Dalla padella alla brace - Tim Parks

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Messaggio  Admin Gio Ott 02, 2008 7:36 pm

L’AUTORE: Nato a Manchester nel 1954, Tim Parks è cresciuto a Londra e ha studiato a Cambridge e ad Harvard. Nel 1981 si è trasferito in Italia dove vive tuttora.

Ha scritto undici romanzi, tra cui Lingue di Fuoco, Destino , e ultimamente La doppia vita del giudice Savage , tre libri di non-fiction, in cui descrive la vita nel nord Italia (il più recente è Questa pazza fede), e una raccolta di saggi intitolata Adulterio e altri diversivi. Ha tradotto in inglese vari autori italiani, tra cui Moravia, Tabucchi, Calvino e Calasso. Insegna traduzione letteraria presso la facoltà di lingue dello IULM di Milano e ha pubblicato un libro, Tradurre l'inglese, in cui analizza la traduzione italiana dei modernisti inglesi.




DALLA PAGELLA ALLA BRACE

Da "Giudizio Universale.it" martedì 23 settembre 2008

Tra le cose che si possono scegliere oggi c'è anche il tipo di istruzione per i figli. Amici milanesi si vantano di aver iscritto il piccolo Edoardo o la piccola Letizia alla scuola internazionale, dove tutte le lezioni sono in inglese, con insegnanti di madrelingua. Nel frattempo, a Verona, io devo ancora ammonire mia figlia minore che frequenta la scuola media a non correggere la maestra di inglese, quando sbaglia la pronuncia. Ciononostante ho iscritto tutti e tre i miei figli alle scuole e università pubbliche italiane, e non solo per risparmiare. Non si tratta del contenuto dell'insegnamento. Ovvio, non serve a niente riempire la testa dei ragazzini con tutti i fiumi dell'Appennino e gli strani nomi dei re di Roma. Né si capisce come mai I promessi sposi abbiano sempre la precedenza su qualsiasi altra opera della letteratura moderna. Ma tutti i sistemi educativi hanno le loro peculiarità e ogni accumulo di informazioni porta alla noia. Ciò che conta semmai è l'ethos della scuola italiana, la vita che si svolge tra le sue mura e la mentalità che contribuisce a diffondere. Sotto questo aspetto, e malgrado i vent'anni e più che ho trascorso a studiare le pagelle dei miei figli e ad insegnare nelle università italiane, ci sono ancora cose nella scuola italiana che non riesco a spiegarmi. Vediamone alcune.

1) Perché, se i voti sono da 1 a 10, gli insegnanti non danno mai né l'1 né il 10?
2) Perché dare tanta importanza all'interrogazione orale, che costringe gli studenti a trascorrere ore di noia ascoltando i due o tre sfortunati del giorno?
3) Perché si assegnano tanti compiti se questi poi non vengono sempre corretti, riconsegnati e spiegati?
4) Perché persino gli insegnanti di educazione fisica ci tengono a far passare la loro lezione come se fosse una disciplina accademica (esame con domande dettagliatissime sulle dimensione del campo di pallacanestro, sport che mia figlia detesta)?
5) Perché gli insegnanti sono quasi interamente donne, mentre tanti presidi sono uomini?
6) Perché non ci sono sanzioni serie per i cattivi comportamenti?
7) Perché le lezioni iniziano così presto la mattina, come se i ragazzi di oggi andassero ancora a dormire al calar del sole?
8 ) Perché all'università è consentito agli studenti rifiutare il voto dell'esame e riprovarci (una pratica sconosciuta nel mondo anglosassone), e perché hanno tante occasioni di rifare l'esame, talvolta fino a sette appelli all'anno?
9) Come mai in Italia si è riusciti a mantenere lo studio del latino e del greco classico come materie obbligatorie nei licei mentre il resto dell'Europa le ha (stupidamente) abbandonate?
10) Perché gli insegnanti sono pagati così poco? E perché, pagati così poco, ci sono ancora oggi tanti ottimi insegnanti nella scuola italiana?

Osservo queste curiosità e mi domando se non ci sia qualche principio che le unisce. Trionfa, ovviamente, l'inerzia: malgrado le esitanti riforme (recuperi sì, recuperi no), la scuola italiana resta fondamentalmente com'era molti anni fa. Ed è pure palese il desiderio di conservare orari e calendari scolastici che convengono agli insegnanti. Più a fondo, però, mi sembra che ci siano due impulsi contrastanti all'opera: da una parte, un'ammirevole risolutezza a fare sul serio (di qui le montagne di compiti a casa, l'infinità di esami universitari, le regole "severissime" ("Papà, dicono che con un'insufficienza in pagella non saremo neanche ammessi all'esame di terza media! Aiuto!"); dall'altro lato, un rifiuto istintivo, per pigrizia o per compassione cattolica, delle conseguenze di tanta severità (i compiti non vengono corretti, gli esami universitari possono essere ripetuti a piacere e, al termine della scuola media, "Papà, la Monica ha cinque insufficienze in pagella ed è stata ammessa agli esami lo stesso!").
Delle volte questi due impulsi contrastanti sono presenti nella medesima persona: l'insegnante di matematica sorprende la classe il primo giorno di scuola con una verifica difficilissima, poi decide di non dare un voto perché tutti hanno fatto malissimo. Più spesso, però, sono quelli a Roma che vogliono far vedere ad ogni costo che l'Italia fa sul serio, accatastando regole su regole che finiscono con l'obbligare gli insegnanti a un'interpretazione blanda. All'università passiamo ore a cercare un modus vivendi con norme ministeriali assolutamente incompatibili con la realtà dell'insegnamento e degli esami. Ansiosa di imporre una rigidità teutonica, Roma non fa altro che stimolare una flessibilità tutta latina.

Ne risulta una mentalità particolare. Dalle elementari fino alla laurea magistrale, gli studenti vengono costantemente minacciati con esami terrificanti e severissime norme burocratiche, solo per scoprire che l'esame non era poi tanto difficile e che la normativa si può evitare al primo inconveniente. Su tutto regna l'incertezza. Chi tende a soffrire d'ansia, studente o insegnante, diventa terribilmente ansioso. Altri imparano ad infischiarsene del tutto. Un'atmosfera di tensione e melodramma si intensifica per tutto l'anno fino alla crisi che contraddistingue la conclusione di ogni anno accademico. Esausti, poi, tutti se ne vanno in vacanza sperando che prima di settembre qualche decreto ministeriale saprà annullare almeno qualcuna delle complicazioni (quei debiti!) che ci rendono la vita impossibile.
Lo straniero che viene a vivere in Italia non può non passare i primi anni in uno stato di stupore. Non ha beneficiato di un'educazione italiana. Di qui il mio ragionamento: se volete preparare i figli alla vita adulta in Italia, se pensate che sia nel loro interesse essere davvero italiani, iscriveteli alla scuola pubblica. Qualsiasi altra scelta è una follia.

Tim Parks

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