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Messaggio  Admin Sab Set 20, 2008 4:41 pm

Non vorrei tornare al maestro unico.
Dopo aver visto nascere i moduli, essendo un direttore didattico di “lungo corso”, vorrei argomentare in merito alla capacità della scuola primaria italiana di digerire prima e modificare poi ciò che il Parlamento ha deciso quando ha approvato la L. 148.
Non scordiamolo: non è stato facile abbandonare le vecchie sicurezze e passare in breve tempo dall’ insegnate unico al team. Nessuno, allora, ci insegnò come lavorare in team e mi ricordo che tanti vecchi e bravi insegnanti non riuscirono ad adattarsi all’ innovazione e si misero in pensione. E’ dura mettersi in relazione con l’ altro, basta guardare le famiglie di oggi dove il problema sono proprio le relazioni tra genitori tra genitori e figli E SOPRATTUTTO TRA GENITORI. Stare con gli altri costa tanta fatica, significa perdere una parte di sè per avere il tutto: la realzione. E’ una strada difficile quella del gruppo, del team e come molti autori scrivono: è l’ unica strada che può aiutarci a d affrontare i problemi del futuro. Il Ragionamento è quasi banale:
nel nostro mondo ogni energia è ad esaurimento, a cominciare dal petrolio, l’ acqua, e persino l’ ossigeno è minacciato dal “buco dell’ ozono” . C’è un’ unica energia che non si esaurisce mai: l’ intelligenza umana. Forse vale la pena mettere insieme le intelligenze , lavorare, pensare, progettare insieme. E’ l’ unica speranza di poter far fronte alle sfide del domani. Perché , dalla sera alla mattina, questo non vale più per le intelligenze degli insegnanti, perché’ dovrebbero tornare a lavorare da soli, senza lo scambio di idee, di valutazioni, di metodologie, di pratiche ( abolite le due ore di programmazione).
Altra considerazione. In altri sistemi educativi soprattutto americani o anglosassoni si cura molto la specializzazione per passare poi alla creazione di momenti specifici dove, le specializzazioni ,lavorano insieme, si influenzano, si scambiano e si integrano conoscenze( vedi nel mondo aziendale le “comunità di pratiche). Dalla sera alla mattina la specializzazione, la cura che migliaia di insegnanti hanno messo nella loro formazione professionale per diventare dei bravi e competenti insegnanti di area linguistica o di logico matematica o dei linguaggi del corpo non sono più valorizzati, diventano tuttologi sanno fare bene tutto e si dovranno formare su tutto: santi e martiri subito. La faccenda non quadra.
Altro punto di vista.
Gli alunni imparano per modelli. Le aziende, e in generale il mondo dei servizi ci chiedono persone che sappiano relazionare, stare in gruppo. Quale modello apprenderanno con il maestro unico ?
Spariscono le due ore di programmazione collegiale, l’ insegnante diventa autoreferenziale. Forse è per questo che dopo anni ed anni si son decisi a bandire il concorso per Ispettori Scolastici? Abbandonando la collegialità che smussava difficoltà e impreparazione deve arrivare l’ Ispettore con le visite ispettive di antica memoria. I capi d’ istituto che da una vita non entrano più nelle classi dovranno ritornare alle visite in classe per riuscire ad incastrare l’ insegnante incompetente. Oppure si pensa già ad un ferreo sistema di valutazione dell’ insegnante unico?
Altro problema: il tempo scuola.
C’è una tendenza, vedasi la Francia, a diminuire il tempo scuola ma le motivazioni sono solo economiche e non certo per il bene degli allievi. I seminari, grandi scuole del passato erano a tempo pieno, i tanto ammirati “college” dai genitori italiani sono a tempo pieno o comunque a tempo lungo. Le nuove scuole paritarie nascono sempre a tempo lungo. Perché noi, scuola pubblica, siamo in controtendenza rispetto alla pubblicistica di settore, dimentichiamo la lezione di don Dilani (otto ore al giorno di scuola anche alla domenica)che invitava ad aumentare il tempo scuola per sottrarre i giovani all’ ignoranza e allo sfruttamento. Sappiamo bene che oggi le TV satellitari offrono buoni prodotti per l’infanzia ma mi fanno paura la cultura e l’apprendimento gestiti dai canali satellitari.

Uno sguardo a cosa c’è.
Gli insegnanti della scuola primaria italiana, nel rispetto delle leggi esistenti, avevano comunque modificato lo spirito della 148. Avevano, da soli e riflettendo sui risultati, trovato delle correzioni, ad esempio: nei plessi piccoli, in molte realtà, per garantire un minimo di continuità hanno già scelto la strada dell’insegnante prevalente.
Ma gli insegnati con i quali sono a contatto, direi nella totalità, trovano utile lavorare in team, trovano più professionale specializzarsi in ambiti professionali.
Diciamoci le cose “fuori dai denti” è stata durissima imparare a lavorare in gruppo e tanti non ce l’ hanno mai fatta ad arrivarci, nonostante le difficoltà lavorare in team ci da tanta soddisfazioni: le imprese vincenti sono imprese di gruppo.
Dietro l’ angolo non vorremo ci fosse l’ attuazione di un vecchio detto popolare conosciuto da tutti: “ o mangi questa minestra o salti dalla finestra”.
Ministro non ci piace la “minestra” e non vorremmo saltare dalla finestra ma poter dialogare sul terreno pedagogico per influenzarla e invitarla a soprassedere all’idea di misure rigide e tout – cour lesive della storia pedagogica del corpo insegnante.

il direttore didattico

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apriamo il dibattito Empty riflessioni di un dirigente scolastico (Fossacesia, CH)

Messaggio  Admin Gio Ott 02, 2008 7:30 pm

Copio qui una riflessione arrivatami da un dirigente iscritto al forum (Corrado Moresco) perchè mi sembra importante far vedere che il dibattito pian piano prende il via...

Vorrei però rivolgere un invito anche agli insegnanti e ai genitori: per strada e nei corridoi scolastici si sentono spesso commenti, pareri, preoccupazioni o altro riguardo alla riforma proposta dal ministro e questo significa che (per fortuna) non siamo indifferenti; il forum può essere un piccolo strumento per dar voce al proprio pensiero, per ascoltare i punti di vista altrui, per ragionare assieme. Vi invito dunque a trovare un po' di tempo per leggere i contributi fino ad ora inseriti e a scrivere la vostra idea: credo non sia mai tempo perso quello dedicato al tentativo di costruire un pensiero progettuale condiviso. A maggior ragione se questa progettualità coinvolge il futuro della scuola che, come compito educativo primario, dovrebbe proprio avere quello di contribuire a fornire ai nostri figli quegli strumenti di pensiero che permettano loro di scegliere, e non solo di subire, il proprio futuro personale.

Ecco invece il contributo che mi è stato spedito:

Il fatto è …..
che noi villan …………….
che sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re!

Non mi è piaciuta la recita delle maestre a lutto. Cattivo gusto e nessun risultato se non quello di rimbalzare sulla cronaca mediatica.
Ma non sono assolutamente d’accordo con la restaurazione del maestro unico.
1. E’ il maestro unico il garante dell’unitarietà dell’insegnamento? Ho dei forti dubbi; ri-tengo che il maestro unico si sbilancerà nell’insegnamento di ciò che più ritiene di sape-re e di ciò che maggiormente apprezza. Forse l’odiato “tutor” di morattiana memoria poteva configurarsi come una dialettica mediazione tra i sostenitori del gruppo docen-te e quelli che invece avevano a cuore un modello diverso, che è approdato nella pratica del ministro Gelmini. La legge 148/90, quella dei moduli, è stata etichettata come legge per salvare il posto alle maestre. Ignoranza e demagogia di chi ha elaborato questa eti-chetta: con la L.148/90 si è passati da una logica personalistica e singola dell’istruzione ad una concezione di elaborazione di gruppo di educazione e formazione, Ovviamente possono esserci tanti distinguo, tante situazioni più o meno felici nella lunga penisola italiana, ma il percorso di questi anni di riflessione e di pratica educativa non possono essere azzerati culturalmente in nome del risparmio della spesa pubblica.
2. E’ il maestro unico lo strumento per innalzare la qualità del servizio? Nella legge 133/2008 si parla di riduzione di organico, di innalzamento del numero di alunni per classe, di riduzione del tempo scuola. Mi pare che si tratti di variabili che influiscono nell’insegnamento/apprendimento: meno insegnanti e meno personale A.T.A non signifi-ca innalzare la qualità del servizio. Innalzare il numero di alunni nelle classi, non vuol di-re consentire una didattica individualizzata (o personalizzata, come preferiscono alcu-ni) che maggiormente garantisce il successo formativo. Riduzione del tempo scuola: ri-cordo i lontani anni veneti della bieca lotta per l’introduzione dei rientri pomeridiani: alla base del contendere c’era una diversa concezione della scuola, dell’educazione, i genitori dell’A.G.E. dicevano che portavamo via i bambini alle famiglie (ci sarebbe da chiedersi quali famiglie). Era tutta una lotta strumentale di chi non voleva una scuola adeguata alle esigenze dei bambini e preferiva un servizio scolastico organico alle esi-genze del modello produttivistico familiare. La 148/90 ha introdotto un concetto for-midabile di “tempi distesi d’apprendimento” per il bambino. Sembra invece che la logica Gelminiana sia quella di concentrare l’insegnamento, in una ottica economicista riempi-tiva dell’apprendimento che non può aver speranza di risultato positivo.
3. Che fare? Siamo noi villani che facciamo scuola, nonostante i re che si sono succeduti e che continueranno a succedersi. Ciascuna scuola ha elaborato un proprio modello di funzionamento e di sviluppo, indipendentemente dalle innovazioni che si vogliono intro-durre ope legis, senza tener conto di coloro che dovrebbero supportare il cambiamen-to. Esiste una cultura della scuola che va aldilà delle mode e dei colpi di riforma. Sono sicuro che la scuola primaria continuerà a funzionare, anche il prossimo anno, perché si regge sulla responsabilità educativa dei docenti.
4. E’ la professionalità del maestro, a renderlo “unico”. A mio modesto avviso sarebbe ora che si prendesse atto che bisogna premiare le professionalità, evitando di ricacciare il personale nel luogo del grigiore istituzionale. C’è bisogno di una inversione di tendenza rispetto le lotte sindacali che appiattiscono in un indistinto – sempre basso – livello di funzionamento. Ma per questo c’è bisogno di credere ancora nella scuola come luogo fe-lice dove si elabora cultura, dove si vive il rapporto con gli alunni ed il personale in mo-do positivo, non semplicemente dove si va per necessità di reddito.

Queste le considerazioni di un dirigente scolastico di campagna che, ritenendo che l’ottimismo sia rivoluzionario, osserva questo adagio: di sconfitta in sconfitta fino alla vittoria!


Corrado Moresco

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apriamo il dibattito Empty Finiamola con le false informazioni! - dal DS Aladino Tognon

Messaggio  Admin Lun Ott 06, 2008 6:35 pm

C’è qualcosa che non va nel dibattito attorno alla scuola: le comunicazioni manipolate, l’imbonimento mediatico. Scusate il delirio di onnipotenza, ma sono convinto che sbagliano tutti: i favorevoli e i contrari alla riforma della scuola posta in atto da provvedimenti del nostro Governo.
Usciamo dalle ambiguità dei messaggi, dalle chiamate a difesa o chiamate alle lotte su spezzoni d’ informazione. Ora tento di spiegare, dal mio punto di vista, come si sbaglia nel cercare di ragionare , oggi, attorno alla scuola.
Andrò per punti mettendo in contrapposizioni delle affermazioni:


a) Si toglie il tempo pieno/ si garantisce il tempo pieno. È vero e ,contemporaneamente, è falso poiché non si va oltre all’ enunciazione.
E’ vero: dai documenti fino ad ora pubblicati dal nostro Ministero si garantisce il tempo scuola fino a 40 ore, comprensivo della mensa. Allora è sbagliato dire ai genitori “non sarà garantito il tempo scuola”. Non è così. L’ informazione è scorretta e ingannevole .
E’ falso: anche il tempo pieno parte con l’ insegnante unico e il resto dell’ orario è coperto da un altro insegnante. Ciò significa che si snatura l’ anima del tempo pieno nato con la L 820, è tutta un’ altra cosa. Si rischia di avere le vecchie attività integrative, si può scivolare facilmente nel vecchio doposcuola, oppure in chissà cosa visto che comunque tutto cambia. Allora la protesta è da farsi , se ci si crede, sull’ odierna concezione del tempo pieno messa in discussione e di fatto modificato : maestro unico, assenza di contitolarietà, mancanza di progetto educativo collegiale. Non mi piace quando si dice che sarà mantenuto il tempo pieno senza specificare i caratteri del nuovo tipo di tempo scuola a 40 ore garantite, non mi piace quando si contesta la sparizione del modello a tempo pieno quando si dice che agli scolari non sarà garantita la permanenza a scuola fino a 40 ore.
Così non si fa informazione. Sbagliano tutti coloro che intervenendo in salotti televisivi declamano che il tempo pieno è stato tolto, sbagliano coloro che asseriscono che il tempo pieno rimane. Oggi la vera protesta comincia nel pretendere chiarezza nei contenuti e sull’ organizzazione .

b) Chi insegna l’ inglese? I fautori della riforma dicono che sarà mantenuto l’ insegnamento specialistico dell’ inglese: sbagliano. I contrari alla riforma dicono che non ci sarà più l’ insegnamento specialistico dell’ inglese: sbagliano.
Leggendo solo documenti con l’ intestazione del Ministero io capisco questo:
1° ci sarà un corso obbligatorio (si è scritto così) per tutti gli insegnanti per la conoscenza della lingua inglese
2° si manterranno gli specialisti, cioè gli insegnanti che ora insegnano solo inglese, fino a che tutti gli insegnanti ”normali” sapranno (ma ciò è solo nelle speranza) insegnare inglese.
Allora cosa succede concretamente il prossimo anno in una futura classe prima, vediamo gli scenari:
1° l’insegnante non conosce l’ inglese. Entrerà nella sua classe l’insegnante specializzato, quindi aggiuntivo. L’insegnante di classe dovrà frequentare un corso per imparare l’inglese per poterlo, in futuro, a sua volta insegnare.
2° l’ insegnate è abilitato all’insegnamento dell’ inglese: come sempre dovrà insegnare l’inglese.

c) Perché si ha paura di dire chiaramente come sta la questione? Un’annotazione personale e, come tale, vale molto poco. Ho un unico figlio, lavora e vive a Londra, probabilmente si troverà una “dolce metà” che non parlerà italiano, una volta all’anno salgo a Londra a trovarlo e mi aggiro come uno “zombie” per la città, incapace di tessere relazioni: non parlo l’inglese. Ho fatto di tutto per impararlo ma sono una “frana”. Sicuramente è un mio deficit e la manifestazione della mia evidente senilità neuronica che avanza. Ma……. Permettetemi di avere dei dubbi sul risultato di avere tutti gli insegnanti italiani preparati ad insegnare inglese con competenza. E’ una formazione lunga. Le nuove generazioni d’insegnanti è giusto e sacrosanto che sappiano perfettamente l’ inglese e che lo sappiano insegnare, ma pretendere che gli insegnati in servizio capaci o non capaci (come nel mio caso) di apprendere una lingua la insegnino significa che per molti scolari sarà un’illusione impadronirsi di tale lingua.

d) Bisogna adottare i grembiuli/ non bisogna adottare i grembiuli. Anche in tale questione c’è pressapochismo e manipolazione. Sbaglia che impone il grembiule. Nessun capo d’istituto è legittimato ad imporre il grembiule. Sbagliano tutti quelli che non si pongono il problema poiché il Ministro così ha scritto: tutte le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia devono decidere se adottare il grembiule.
Quindi perché far diventare il grembiule materia di scontro? Perché si sostiene in modo demagogico e falsamente pedagogico la scelta di favorire l’uno o l’altro.
Oggi come oggi le cose, dal mio punto di vista, stanno così: legittimamente il Ministro ha posto alle scuole un problema. Le scuole, senza dare un giudizio di valore sulla proposta del Ministro che ha tutti i sacrosanti diritti di esporre, dire, affermare, invitare, suggerire ecc delle proprie idee, devono argomentare e discutere nelle sedi competenti e precisamente nel collegio docenti e in consiglio di Istituto la problematica posta dal Ministro in modo corretto e noi ideologico. Ciò detto ecco la mia idea. Ma prima alcuni dati: oggi un grembiule può costare fino a 36 euro. Una famiglia ne deve acquistare come minimo due per dare il cambio. E’ una spesa non indifferente. Ho un plesso che ha adottato da anni il grembiule. Verso la fine della quarta classe sia i maschietti, sia le femminucce hanno difficoltà nell’accettare il grembiule, provano un disagio pedagogico. Anche l’anno scorso, dopo la motivata richiesta dei genitori in qualche classe ho dovuto concedere il non uso del grembiule. Io non sono contro il grembiule ma ciò va spiegato. Ogni coro, orchestra, squadra sportiva sente la necessità di darsi e scegliere una maglietta, una divisa, una giacca che faccia sentire unità, provochi sentimenti di appartenenza, li renda visibili agli altri ecc. Quindi arrivare a scegliere una tuta, una casacca, o un grembiule come frutto di un desiderio d’ identità, di appartenenza, di spirito di gruppo, di benessere psicologico legato a sentirsi parte del tutto, è una cosa bellissima. Il grembiule o tuta o divisa o altro ancora non può essere imposta ma risultato della realizzazione vera di una “comunità educante”. Quando succede questo, quando si arriva alla fine di un percorso di condivisione ed appartenenza, in piena autonomia i consigli d’istituto sentito il parere vincolante del collegio docenti attuerebbe una grande delibera, dal forte valore pedagogico, atta ad introdurre un capo di vestiario riconosciuto dalle bambine e dai bambini come segno distintivo della loro” magica” ed unica scuola: la migliore del mondo.

Aladino Tognon

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