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Istruzione e crescita economica M. Draghi

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Messaggio  Orianna Tinazzi Gio Ott 23, 2008 1:12 am

ISTRUZIONE E CRESCITA ECONOMICA


di Mario Draghi


La partecipazione al mercato del lavoro in Italia (...) è ancora molto inferiore alla media europea, in particolare per le donne, i giovani e le classi di età più elevate. Una maggiore istruzione tende a ridurre questi divari. Nei Paesi dell’Ocse il tasso di occupazione medio dei maschi di età compresa tra i 25 e i 64 anni con un grado di istruzione universitario è di 15 punti percentuali superiore a quello di coloro che possiedono solo un diploma di scuola secondaria inferiore; per le donne il divario sale a 30 punti. (...). Stime del Servizio studi della Banca d’Italia indicano che, a parità di ogni altra circostanza, nel nostro Paese la probabilità di partecipare al mercato del lavoro aumenta di 2,4 punti percentuali per ogni anno di scuola frequentato. Nelle regioni meridionali questo valore sale a 3,2, indice di una maggiore scarsità relativa di lavoratori qualificati. (...).
Più elevati livelli di istruzione favoriscono guadagni di produttività. (...). Nella maggioranza dei Paesi dell’Ocse, la remunerazione delle persone con un titolo equivalente alla nostra laurea specialistica supera di almeno il 50 per cento quella dei lavoratori con diploma di scuola secondaria. I differenziali salariali tra lavoratori in possesso di diploma e quelli con la sola licenza media sono compresi tra il 15 e il 30 per cento. In Italia il rendimento privato dell’istruzione è inferiore alla media dei Paesi
dell’Ocse (…).

Nonostante i significativi progressi conseguiti nell’innalzare il livello di istruzione dei più giovani,
nel 2005 la quota di diplomati nella fascia di età tra i 25 e i 64 anni era solo del 37,5 per cento, un valore inferiore di quasi otto punti alla media dei Paesi dell’Ocse. Ancora più elevato era il differenziale nella quota di laureati, che in Italia raggiungeva appena il 12 per cento, la metà della media
dei Paesi dell’Ocse. (...).
Troppi adolescenti non frequentano tuttora la scuola e quelli che lo fanno mostrano maggiori difficoltà nell’apprendere rispetto ai loro coetanei europei: nel 2004 solo 76
ragazzi su 100 conseguivano il diploma, un valore tra i più bassi nel confronto con i paesi avanzati. Secondo le periodiche rilevazioni dell’Ocse gli studenti italiani alla fine della scuola dell’obbligo si collocano agli ultimi posti nell’apprendimento della matematica (...).
I nostri problemi non dipendono da un ammontare inadeguato di risorse pubbliche destinate all’istruzione scolastica. La spesa per studente nella scuola dell’obbligo e in quella secondaria è anzi più elevata rispetto alla media dei Paesi dell’Ocse, per effetto non già di
maggiori retribuzioni pro capite del personale docente, bensì di un più alto rapporto numerico tra docenti e studenti:
in Italia ogni cento alunni vi sono 9,4 insegnanti nelle scuole secondarie e 9,2 nelle scuole elementari, a fronte di valori pari a 7,4 e 6,1 nei Paesi dell’Ocse e a 8,5 e 6,8 nella media dei Paesi europei. Sull’alto rapporto insegnanti/alunni in Italia influiscono scelte di politica sociale, come l’ampio sostegno agli studenti diversamente abili e la fornitura di servizi educativi in loco anche a comunità di piccole dimensioni sparse sul territorio. Ma pur tenendo conto di
questi fattori, il divario con gli altri Paesi rimane elevato, riflettendo tra l’altro la frammentazione degli insegnamenti, e non si traduce in una miglior qualità dei risultati scolastici. (...) Gli effetti derivanti da un innalzamento dei livelli medi di istruzione possono essere più o meno intensi a seconda degli indirizzi formativi che si promuovono: sono più efficaci quelli che accrescono la mobilità di impiego dei
lavoratori e, soprattutto, la diffusione di nuove idee. (…)

Nella popolazione più giovane, compresa tra 25 e 34 anni, la quota che in Italia completa un corso di studi postsecondari (...) è ancora al di sotto della media dei principali Paesi industriali. I tassi di abbandono nell’università sono pari al 60 per cento, quasi il doppio rispetto alla media degli stessi paesi. L’incidenza dei laureati che conseguono un titolo di specializzazione postlaurea permane in Italia molto bassa, collocando il nostro paese alla quart’ultima posizione fra i Paesi dell’Ocse. Il recente incremento nel numero di laureati si è concentrato nei nuovi percorsi a breve durata (...) indirizzati soprattutto verso le aree giuridiche e politico-sociali. Più in generale, la composizione per corso di studi degli studenti universitari italiani appare sbilanciata, nel confronto internazionale, verso le discipline umanistiche e sociali a scapito di quelle tecniche e scientifiche. (...) Parte della spiegazione sta nelle elevate rendite di cui godono alcune professioni, rendite che distorcono le scelte delle famiglie, e nella insufficiente domanda di qualifiche tecnico-scientifiche alte da parte delle imprese.
Le risorse pubbliche destinate all’istruzione post-secondaria sono relativamente minori in Italia che in molti altri paesi avanzati. Questo è anche il contraltare delle maggiori risorse destinate all’istruzione primaria e secondaria. (...) Non è una scelta lungimirante in un mondo in cui l’innovazione è la chiave di volta dello sviluppo. (…)
Per le ragioni che ho provato fin qui ad elencare, l’istruzione è uno dei più importanti capitoli di
un’azione di riforma volta a modificare il contesto in cui è inserito il sistema.

Una efficace politica dell’istruzione deve conciliare l’eccellenza con l’equa diffusione delle opportunità di istruirsi nella misura massima desiderata. Non vi è conflitto fra questi due obiettivi, purché il soggetto pubblico persegua l’obiettivo di livellare le opportunità di partenza e compia scelte gestionali che permettano anche al mercato di selezionare l’eccellenza. (...)
Garantire a tutti i giovani le medesime opportunità di successo nell’apprendimento, purché si doperino per meritarlo, è la chiave per innalzare insieme l’efficienza e l’equità nel campo dell’istruzione. Entrambi gli obiettivi possono essere perseguiti in vari modi fra loro complementari. Nella scuola può essere utile aumentare la concorrenza fra gli istituti, sia nell’ambito pubblico sia in quello privato, con modalità di finanziamento che da un lato premino le scuole migliori e dall’altro trasferiscano risorse direttamente alle famiglie per ampliarne la possibilità di scelta.
L’informazione che guida le famiglie nelle scelte scolastiche appare insufficiente: oltre alla prospettiva
di ottenere un diploma uguale per tutti, vanno loro offerti criteri uniformi di valutazione, che permettano scelte mirate.
Va eliminato l’incentivo perverso, per famiglie e scuole, a colludere nell’abbassare gli standard qualitativi dell’insegnamento, specialmente se il finanziamento rimane legato
esclusivamente al numero di iscrizioni.
(...)


Estratto dalla
Lectio Magistralis del Governatore della Banca d'Italia alla Facoltà
di Economia dell’ Università “La
Sapienza” in occasione dell’inaugurazione del 100° anno
accademico

Orianna Tinazzi

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